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Il-musicista-Stefano-Guzzetti-intervistato da-Alessia-Mocci
Stefano Guzzetti: Assolutamente sì. Ricordo benissimo. Avevo già alle spalle qualche lezione di musica avviata a scuola, ma volevo proprio approfondire la cosa. Mio fratello prendeva lezioni di organo elettronico (i miei pensavano che a lui interessasse tantissimo, nella vita poi l'ha finita a fare il dentista con una passione davvero profonda per il proprio mestiere) ed io ero avido di ogni nota che sentivo uscire da quello strumento musicale. Ero poi in fissa con la 'Toccata e Fuga in re minore' di J.S.Bach che, oltre ad essere un brano musicale di immensa bellezza e profondità, era per me anche fonte di varie sensazioni sinistre, visto che al tempo quel brano era usato come sigla di un ciclo televisivo di film horror su Rai 1. Conservo tuttora una fascinazione verso le cose decadenti e verso la musica non proprio allegra, grazie a quel connubio casuale che mi ha marcato la vita. A.M.: Da allora ti sei evoluto notevolmente, ci puoi indicare i mutamenti stilistici maggiori avvenuti durante il tuo percorso? Stefano Guzzetti: Dopo i miei primi anni esclusivamente segnati dalla musica classica, nei primi anni '80 ricevetti per regalo un home computer, un MSX. Per mia fortuna non era il conosciutissimo Commodore 64, perché l'avrei finita a comprare le cassette con i giochi in edicola e non avrei fatto quello che feci, ovvero: spinto dalla curiosità, iniziai a programmare in Basic ed in linguaggio macchina, con lo scopo di far suonare il mio computer insieme all'organo di casa. Ricordo ancora come se fosse oggi; in un programma in prima serata condotto da Pippo Baudo (si chiamava 'Fantastico') vidi degli svogliatissimi Kraftwerk che, per puri doveri promozionali, erano lì a proporre il loro singolo 'Pocket Calculator'... avevo circa 11 anni, ma rimasi folgorato... quindi diciamo che la passione per la musica elettronica nasce allora per poi passare in varie fasi, dall'indie pop dei New Order negli anni '80, all'acid house (amai alla follia quell'esperimento degli Shamen intitolato 'In Gorbacev We Trust' nel 1989), all'industrial (tutta la scena Contempo Records in primis, con Clock DVA, Pankow, Lassigue Bendthaus, ma anche la scena Minus Habens per esempio), alla drum'n'bass, sperimentale, ambient (in un breve periodo credo di avere ascoltato solo Brian Eno) ecc. A.M.: In quale panorama artistico inseriresti il tuo prodotto? Stefano Guzzetti: Allo stato attuale io produco secondo vari tipi di forme musicali; non per l'urgenza di esserci ad ogni costo, ma semplicemente perché col tempo acquisisci certe dialettiche e le fai tue. Conseguentemente ami fare cose diverse, giusto per soddisfare la natura multiforme che col tempo si è formata. Nel mio sito (www.stefanoguzzetti.com ) ci sono fondamentalmente tre sezioni musicali: una elettronica / ambient dove colloco i lavori di natura anche elettroacustica, i lavori nei quali l'estetica della macchina è proprio (ed intenzionalmente) palesata, proprio come un elemento imprescindibile. Nella sezione 'Beats / Remixes' ci sono appunto sia remix (adoro remixare, specialmente tenere solo la parte vocale di un pezzo e costruirci sopra una musica tutta nuova, cambiando il centro armonico e dando quindi alla voce un significato diverso) che pezzi elettronici anche 'ballabili'. Infine una terza sezione 'Piano / Suite Music' racchiude molti pezzi di natura pianistica, o neo-classica, pezzi insomma che per esempio troverebbero facile impiego in una colonna sonora oppure in un documentario... Rispondere quindi alla tua domanda non è fattibile con una sola risposta: nel senso, faccio diverse cose, le mie creazioni si collocano in contesti abbastanza diversificati. Per esempio, a breve parteciperò al Signal col lavoro 'Microcosmos' ed a Miniere Sonore con il lavoro 'Abandoned', ma a breve uscirà il remix che sto producendo per il singolo 'Passerà' del mio amico cantante (peraltro bravissimo) Alessio Longoni. A.M.: Gradiresti “l’etichetta” di un “intonarumori”? Stefano Guzzetti: L'intonarumori era l'invenzione del futurista Luigi Russolo. Era una specie di campionatore dei primi del secolo. Nel contempo Erik Satie creava la sua 'musica da tappezzeria', una musica da suonare quasi in maniera impercettibile, la cui funzione era quella di 'riempire' la stanza, decorarla. Diciamo che concettualmente erano state gettate le basi dell'ambient music. Del resto le Gymnopedies di Satie questo sono: ambient music dei primi del secolo. Quindi, se l'intonarumori sta al campionatore come la musica da tappezzeria sta all'ambient music, sono molto onorato di quest'etichetta. Molto gradita. Anche perché, in molti miei brani, tipo 'The Next Two Days' o 'Sea Flower' da Microcosmos, ho proprio campionato rumori e suoni della natura e li ho scalati fino a farli diventare armonicamente consonanti col resto del pezzo. È bellissimo e molto interessante operare in questo senso, senza far sì che una scalatura (stretching) eccessiva non spersonalizzi la riconoscibilità e derivazione semantica del suono stesso. Intonare i rumori appunto; e cercare di fare delle cose interessanti con tutto questo. Stefano Guzzetti: Non perché sia un avvenimento recente, ma davvero, oggettivamente, credo di essere stato una persona molto fortunata ad avere incontrato Fabrizio nella mia strada. A volte ti capitano delle cose inaspettate, bellissime, che ti aprono un mondo intero. Ed io nel mondo di Fabrizio mi ci sono buttato a capofitto. Mesi fa, tramite un amico in comune, Fabrizio ha potuto ascoltare qualche mio lavoro; mi ha contattato e mi ha passato i link dei suoi primi lavori (nei quali è chiaramente visibile una grande penna ed uno stile del tutto fuori dal comune, per quanto acerbo in quei primi corti) ed il viral trailer di “Uncle Bubbles”. Vedere i pochi minuti di quel trailer mi ha fatto subito capire che quel corto (poi diventato un mediometraggio) sarebbe stato una bellissima occasione di entrare nel vivo del processo creativo con una persona speciale. Ed i fatti non mi hanno dato torto. A.M.: Quali sono gli artisti che reputi siano stati decisivi per il tuo creare? Stefano Guzzetti: In circa 30 anni di musica nella mia vita, ci sono stati vari artisti che mi hanno segnato profondamente l'animo; a loro devo tutto, per esempio la scoperta di mondi complessi e nel contempo semplici e belli, di una poesia immensa. Parlo di Johann Sebastian Bach, Erik Satie, Maurice Ravel, il primo Michael Nyman, Philip Glass, Steve Reich, Arvo Part e Eberhard Weber. Ma anche di David Sylvian, Brian Eno, Cocteau Twins, Dead Can Dance, This Mortal Coil, Red House Painters, e tanti, tantissimi altri nomi ancora... A.M.: Hai qualche progetto per il futuro? Ci anticipi qualcosa? Stefano Guzzetti: Appena finiti gli impegni con il Signal e Miniere Sonore, finirò il remix per Alessio Longoni, poi credo inizierò una nuova produzione con il combo di Esse(d)Esse insieme a Raimondo Gaviano (Svart1), Roberto Belli (NihilNONorgan) e Mauro 'Khil' Melis. Inizierò poi (finalmente) la produzione di un nuovo lavoro incentrato sullo studio delle tessiture, sia dei materiali veri e propri che musicali. A fine anno andrò inoltre a suonare a Padova, Venezia e dintorni per la gente di Laverna (www.laverna.net ) con cui ho fatto uscire il mio lavoro 'Silent Microcosmos' a metà settembre. Nel contempo finirò anche la mia serie 'Eight Planets' e preparerò un live set di natura sicuramente ballabile. Ringraziando Stefano per la disponibilità invito tutti i lettori ad ascoltare “Holocaust” ed a visitare il sito del musicista: QR-CODE DELL'ARTICOLO Inserito il 21/09/2010 nella categoria Cultura
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